Ammetto di averlo sempre un po' snobbato! Vivo da tanti anni proprio a ridosso del Monte San Bartolo, piccolo ma bellissimo promontorio a picco sul mare! Il primo che si incontra venendo da Trieste.
Poi c'è lui, alto e imponente, un grosso "panettone" che si tuffa nel mare Adriatico.
Forse, in cuor mio non volevo "tradire" il mio amico di tante avventure, il monte San Bartolo.
Ma, ad un certo punto della vita, mi si è presentata una nuova grande sfida e ho accettato di iniziare a conoscere più da vicino il grande Monte Conero.
E ammettiamolo, come fosse una persona, anche lui non è solo bellezza esteriore, ma volendolo conoscere meglio, ha tanto da raccontare per incuriosire anche i più scettici come me!

Itinerario di tre giorni e due notti nella Riserva Naturale del Monte Conero    
Non so dire quanto tempo ci voglia per vederlo tutto, ma sicuramente tre giorni sono il minimo indispensabile per scoprire almeno tre dei segreti che custodisce il monte Conero.
Si comincia con il segreto venuto dallo spazio. Si prosegue con il mistero delle sue grotte e dei suoi tunnel segreti. Si conclude con il segreto del successo della sua tradizione marinara.
Un segreto decisamente più rilassante a degna conclusione di un weekend ricco di sorprese.
Benvenuti nel mio viaggio sul Monte Conero.

È il primo giorno, è ora di iniziare: si comincia da molto lontano 
Quando si pensa alla costa Adriatica si pensa solo a spiagge lunghissime e sabbiose.
Nulla di più sbagliato. Basta, infatti, non soffermarsi agli stereotipi che molti hanno nei confronti di questi luoghi per scoprire che ci sono angoli che proprio non ti aspetti di incontrare.
Tra questi c’è sicuramente il promontorio del Monte Conero: un luogo di grandissimo fascino naturalistico che, però, non si deve considerare solo come bella località di mare.
È da qui, quindi, che comincia il viaggio: in cima al monte, fronte mare, più affascinante della costa Adriatica.
Ammetto che anche io, pur avendolo a pochi chilometri da casa, l’ho   frequentato poco e in maniera frettolosa, finché un giorno ho scoperto che questa montagna nasconde un grande segreto proveniente dallo spazio.
È da qui che comincia il mio viaggio alla scoperta del Monte Conero e delle sue grandi sorprese.
Tre sono i sentieri che ho voluto scoprire e ognuno di loro ha qualcosa di veramente incredibile da raccontare. Incomincio da   lontano: dall’universo e dalle stelle
Ebbene sì, c’è un angolo del monte Conero che nasconde tra le sue alte e bianchissime pareti di roccia calcarea un segreto che risale a ben sessantacinque milioni di anni fa: un segreto che arriva direttamente dalle stelle.  

La roccia venuta dallo spazio 
Tutti conoscono la storia dei dinosauri che, ad un certo punto della loro esistenza sulla Terra, si sono improvvisamente estinti probabilmente a causa di un meteorite che si schiantò sulla superficie terrestre. Ma come si è arrivati a formulare questa incredibile teoria?
Non tutti sanno che questa teoria nacque grazie ad una scoperta fatta da un geologo americano durante un suo viaggio in Italia e più precisamente a Gubbio, in Umbria.
Durante questo viaggio, il geologo americano scoprì, in mezzo ad una grande parete di roccia sedimentaria, uno stranissimo strato di argilla nera alta solo un centimetro.
Proprio da quello straterello di argilla si arrivò alla teoria che attribuisce all’impatto di un meteorite sulla Terra, esattamente sessantacinque milioni di anni fa, l’estinzione dei dinosauri.
Questo straterello ha anche un nome molto curioso: il limite K – T.
Questo strato alto solo un centimetro racchiude dentro di sé un minerale (l’iridio) che gli scienziati sanno benissimo essere presente solamente nel nucleo della Terra in pochissima quantità e nelle stelle in grandissima concentrazione.
Secondo questa teoria, sessantacinque milioni di anni fa, un meteorite contenente un’enorme quantità di Iridio si schiantò sulla Terra. Questa immensa e catastrofica esplosione provocò l’estinzione dei dinosauri.
Dopo l’impatto del meteorite, l’iridio contenuto al suo interno si sparpagliò e si depositò in alcuni angoli della Terra.
Tra questi angoli, ancora quasi sconosciuti, c’è proprio il Monte Conero.
In questo angolo di montagna, infatti, nel mezzo della bianchissima roccia calcarea, si può vedere l’istante in cui è caduto il meteorite come fosse una vera e propria fotografia del nostro pianeta.
È impossibile non rimanere affascinati da questa storia e soprattutto non sentirsi orgogliosi di avere un tassello prezioso della storia del nostro pianeta proprio nel cuore dell’Italia.  

Il monte dei corbezzoli 
Quando si percorre in macchina l’autostrada adriatica, che dal nord Italia arriva fino alle Marche, si ha la sensazione di viaggiare quasi tutto il tempo in compagnia del mare.
Una sensazione bellissima che diventa ancora più forte quando il viaggio lo si fa a bordo di un treno che corre lungo i binari vista mare.
Una sensazione davvero bella soprattutto quando il mare non lo vedi per lunghi periodi.
Ad un certo punto, dopo centinaia di chilometri percorsi guardando le lunghe e basse spiagge che dalla Romagna arrivano fino ad Ancona, alzando lo sguardo si scorge una grossa montagna che sembra tuffarsi nel mare.   
È il famoso monte Conero che, con la sua grande mole, si fa notare molto facilmente.
Prima di addentrarci tra i suoi sentieri, però, vorrei soffermarmi un istante sul suo nome che ha antiche origini e nasconde una storia molto affascinante.
Il nome Conero deriva dalla parola greca “Comarus” che significa corbezzolo.
Questo grande promontorio, nel cuore delle Marche, è infatti il monte dei corbezzoli, una pianta ancora molto diffusa tra i suoi boschi e lungo i suoi sentieri.
Il corbezzolo non è una pianta comune ma è considerato il simbolo della nostra nazione.
Il corbezzolo, infatti, è una pianta che ha i tre colori che richiamano quelli della bandiera italiana: il verde brillante delle foglie, il rosso intenso dei suoi frutti (splendide bacche rosse) e il bianco dei suoi piccoli fiori.  

Secondo giorno di cammino e di leggende 
Un’ “isola” mediterranea   
Passeggiare nella riserva naturale del monte Conero non significa solo camminare tra grandi pareti rocciose o splendide falesie a picco sul mare, significa vivere e vedere ogni aspetto della natura.
Anzi, sembra proprio di camminare su un’isola mediterranea.
È   così infatti che, secondo me, appare ai tanti uccelli migratori che da qui, ogni anno, passano   per fermarsi a riposare oppure per nidificare prima di completare il grande viaggio che dall’Africa li porta in Europa e viceversa.
Effettivamente pur essendo nelle Marche, dove il clima non si può ancora definire mediterraneo, molti aspetti ricordano proprio la vegetazione più autentica del Mediterraneo.
Il corbezzolo, essenza tipicamente mediterranea e pianta simbolo del parco e il leccio , pianta tipica della vegetazione mediterranea , a causa dello sfruttamento da parte dell’uomo della terra per uso agricolo, sono stati sostituiti dalla più comune macchia mediterranea un po' ovunque ma non sul monte Conero. Qui ancora resistono. Camminando tra i sentieri della riserva hai spesso la sensazione di essere all’interno di un bosco come ce ne sono tanti nel centro Italia, sugli Appennini in particolare, poi improvvisamente giungi al mare e qui le cose cambiano completamente.
In estate, poi, il giallo delle ginestre e il verde smeraldo delle   acque ricordano esattamente la bellezza di un’isola mediterranea.  

Una montagna di conchiglie

Il monte Conero appare come una terrazza protesa verso il mare. I fianchi di questa montagna sono tra le falesie più belle della costa italiana.
Ѐ un grande promontorio a picco sul mare, costantemente esposto all’erosione del vento e dell’acqua che nel corso degli ultimi migliaia di anni hanno plasmato le sue belle spiagge.
Un paesaggio che appare solenne e maestoso. Ma tutto questo quando e, soprattutto, come si è formato?
Bisogna immaginare che qui sette milioni di anni fa non c’era nulla di tutto questo.
Al suo posto c’era un immenso oceano, diviso tra grandi lagune e mari poco profondi, dove vivevano tantissime specie di animali marini.
Tra questi, alcuni animali erano dotati di conchiglia protettiva, proprio come i nostri “moderni” molluschi.
Nelle profondità di questo grande oceano cominciò a formarsi quello che poi diventò il maestoso promontorio di roccia bianchissima del Conero.
Questa roccia bianca, la cosiddetta maiolica, si è formata proprio su questo fondale marino.
La maiolica, infatti, è formata da piccolissimi resti di gusci di organismi marini e di alghe di natura calcarea che si sono depositati sul fondale di questo antico mare, cinque milioni di anni fa. Non appena le acque si sono ritirate è emersa questa grande montagna di conchiglie.  

Le due sorelle di bianca roccia 
Sono considerate il simbolo dell’intera costa lungo il monte Conero.
Si possono ammirare dall’alto, passeggiando tra i numerosi sentieri, ma anche dal mare: sono i due faraglioni più famosi della costa Adriatica: le due sorelle.
Sono due grossi scogli, posti nella zona orientale del parco del Conero, costituiti da una roccia particolare, presente anche in altre aree del monte, che si chiama scaglia rossa.
Questo nome richiama il colore naturale di questa roccia che si presenta tra il rosato e il rosso scuro ma che, qui, avendo subito   l’azione degli agenti atmosferici (acqua di mare, vento e pioggia) si è decolorata ed è diventata più chiara, quasi bianca.
Sono due grandi blocchi calcarei che migliaia di anni fa erano uniti al promontorio del monte Conero ma che, a seguito di continui fenomeni erosivi, si sono separati dalla terra ferma.
Ovviamente, anche in questo caso, la fantasia dell’uomo ha dato vita a numerose leggende riguardo l’origine di questi grandi scogli.
Una delle più belle, secondo me, è quella che racconta di una sirena che, in accordo con un demone marino, attirava con il suo canto melodioso poveri marinai che poi venivano imprigionati.
A causa della perfidia di questa pratica, il demone marino venne trasformato in pietra e diviso in due: appunto le due sorelle.  

I grandi misteri nascosti nelle viscere del monte 
Montagne che si aprono sul mare con porte segrete per far uscire i sommergibili nascosti nella montagna stessa. Antiche grotte e tunnel scavati dagli schiavi. Sono solo alcuni delle storie e delle leggende che circondano da secoli i boschi e i sentieri del Monte Conero. 
Le grotte 
Tante sono le grotte che si aprono in diversi punti del monte Conero, ma due sono quelle le cui storie hanno attirato la mia attenzione: la grotta del Mortarolo e la grotta degli schiavi.
La grotta degli schiavi, che si trova nelle vicinanze dei faraglioni delle due sorelle, è una grotta di cui si hanno notizie passate ma di cui, oggi, non rimangono tracce: sembra, infatti, che nel 1930 sia stata completamente distrutta a causa di un terremoto.
Tuttavia il ricordo di questa grotta sopravvive nelle storie e nelle leggende che raccontano di terribili pirati che la usavano come luogo per imprigionare i propri schiavi.
Altra bellissima grotta che, invece, ancora oggi è visitabile è quella del Mortarolo.
Nome davvero curioso che, secondo la tradizione, rimanda al simbolo del teschio che alcuni monaci usavano come monito di una vita dedicata alla preghiera.
Questa grotta è una spaccatura naturale della roccia che, fin dall’antichità, è stata usata come luogo di preghiera e di isolamento.

 Tunnel e misteriose basi militari
Camminando lungo i sentieri della Riserva naturale del Conero è facile imbattersi in strane aperture, sigillate da enormi porte in acciaio, che portano direttamente all’interno di lunghi tunnel.
La storia racconta che questi tunnel esistano fin dalla fine dell’800 e che successivamente vennero ampliati sia per la prima che per la seconda guerra mondiale.
Il monte Conero, infatti, è sempre stato un luogo di grande interesse strategico.
Ma è con l’arrivo della guerra fredda che questi tunnel e la grande base militare ben nascosta nella fitta boscaglia della riserva hanno assunto un aspetto decisamente intrigante e misterioso.
Ovviamente l’accesso a questi luoghi è assolutamente negato e questo accresce l’aurea di mistero che circonda la base militare.
Le uniche e frammentate notizie parlano della scelta da parte della marina militare italiana, nel lontano 1957, di scavare dei bunker e tunnel sotterranei per resistere anche ad eventuali attacchi atomici.  

Dopo mille emozioni e tanti chilometri fatti è il momento di concedersi una giornata di relax:  terzo e ultimo giorno 
La maestosa frana preistorica 
Dico sempre di non amare la geologia e la paleontologia, ma quando certi eventi tanto catastrofici quanto incredibili danno vita a dei paesaggi di cui oggi possiamo godere non posso fare altro che apprezzare queste curiose materie naturalistiche che permettono di decifrare e ricostruire la storia del nostro pianeta.
È il caso della bella Baia di Portonovo che   è   il risultato di una enorme frana preistorica.
Ancora oggi, alzando lo sguardo verso il versante della montagna che si affaccia sulla baia, è possibile scorgere, nascosto   da una fitta vegetazione mediterranea, il punto dove è avvenuto il distacco della grande frana.
Ciò che ha reso ancora più bello ed interessante questo fenomeno geologico, apparentemente catastrofico, è stato il fatto che dal blocco immenso della frana si siano formati, anche grazie all’azione delle onde del mare, due bellissimi laghi davvero rari e preziosi perché sono tra gli ultimi esempi di zone umide costiere. Un ecosistema essenziale e fragile che deve essere assolutamente tutelato.
La cosa interessante di questi due laghetti, chiamati lago Profondo e lago Grande, è che contengono acqua salmastra perché sono collegati al mare attraverso dei passaggi sotterranei. Questa particolare condizione permette la vita a tanti animali e piante che amano vivere in un ambiente così particolare e ricco.
Il lago Profondo, poi, nasconde tra le sue oscure acque un pericoloso segreto che, per fortuna, sembra essere solo una leggenda.
Si racconta infatti che un’antica setta utilizzasse questo lago per nascondere i cadaveri dei nobili locali che praticavano il deplorevole rituale dello ius primae noctis.
Guardando  sia dall’alto che direttamente dal mare si può ammirare il grande fascino sia della baia che  di questi rari e preziosi laghetti costieri.  

La Baia di Portonovo tra storia e tradizioni marinare 
Guardandola dall’alto, la baia di Portonovo dà l’impressione di essere in un luogo lontano migliaia di chilometri, su qualche isola tropicale dispersa nel mezzo dell’oceano Pacifico ed invece siamo nel cuore delle Marche.
Il verde scuro della lussureggiante macchia mediterranea, il verde smeraldo dell’acqua del mare e i piccoli laghetti di acqua salmastra fanno da scenografia alla bella e bianchissima chiesa di S. Maria di Portonovo e alla possente torre militare voluta da papa Clemente XI  e costruita nel 1716 per la difesa della costa anconetana.
La chiesa, costruita con la bianchissima pietra calcarea del Conero tra il 1034 e il 1048, faceva parte di un’abbazia benedettina dotata originariamente di una torre campanaria e di un monastero che andarono distrutti e di cui, oggi, non   rimangono tracce.
Questa abbazia fu usata fino al 1320 quando i benedettini l’abbandonarono a causa dei continui crolli della falesia del monte Conero che sovrasta la baia stessa.
La baia di Portonovo, oggi, è diventata famosa anche per i moscioli. Ma che cosa sono questi moscioli? 
Cozze selvatiche, potrei rispondervi tranquillamente; ma se mi sentisse un anconetano potrebbe sgridarmi: i moscioli sono moscioli non sono semplici cozze.

La cozza selvatica del Conero
A guardarle, oggettivamente, sono cozze; la differenza? I moscioli sono cozze selvatiche e non di allevamento.
Queste, infatti, crescono naturalmente attaccate alle pareti rocciose del monte Conero e vengono pescate dai pescatori locali, mentre tutte le altre cozze vengono allevate in mare aperto.
Questa differenza, sostanziale anche nel gusto, fa si che i moscioli di Portonovo siano diventati una tipicità gastronomica unica dell’area del monte Conero e, per questo, è diventato un presidio Slow Food.
Sono talmente particolari che anche il periodo della loro raccolta è molto ridotto perché si deve seguire il ciclo naturale dell’animale che permette di raccoglierli solo nel periodo compreso tra aprile e ottobre.
La pesca dei moscioli, pur avvalendosi di professionisti, avviene ancora manualmente come si faceva in passato. Alcuni subacquei scendono in profondità tra i cinque e i dieci metri e strappano con speciali rampini le cozze cresciute sugli scogli.
Una volta pescati vengono immediatamente confezionati e sigillati con l’indicazione della data e del luogo di pesca prima di essere messi in vendita solo su mercati del pesce locali. Tutto questo garantisce il rispetto della filiera: dalla pesca alla vendita al consumatore finale.  

Costa 
Uno degli ambienti naturali più importanti è quello che si incontra tra la terraferma e il mare, ed è la costa.
La tipologia di costa che si   può   incontrare dipende dall'ambiente che si trova alle sue spalle.
Esistono due tipi di coste: la costa alta e la costa bassa.
La costa alta e rocciosa (che può essere alta anche diversi metri) si ha quando ci sono pareti rocciose che arrivano fino al mare.
In questo caso si può osservare una grande varietà di forme: ci sono le pareti (le falesie) a picco sul mare che prendono   il nome di promontorio, e poi si possono trovare delle rientranze, chiamate calette, che sono delle piccole spiagge.
Molto spesso la costa alta e rocciosa presenta forme di erosione davvero incredibili, come le grotte, gli archi naturali e grandi scogli isolati chiamati faraglioni.
La costa bassa, invece, ha alle spalle la pianura e la pendenza è molto lieve.
La costa bassa è formata da spiagge, normalmente di sabbia fine, che si formano a seguito del processo di accumulo dei detriti trasportati dai fiumi fino alla foce e poi   distribuiti dalle onde del mare e dalle correnti lungo la costa.

Le rocce sedimentarie 
Le rocce, apparentemente immobili, sono in realtà sempre in movimento.
Si formano, poi vengono distrutte e infine si riformano, in un ciclo   che non finirà mai.
L'acqua, il vento e il ghiaccio trasportano i detriti e li depositano, formando sedimenti sciolti.
Questi sedimenti, nel tempo, si accumulano uno sopra l'altro e si compattano a causa delle forti pressioni. Le rocce sedimentarie, così formate, danno origine ad una grande struttura a strati.

Molluschi 
I molluschi sono animali invertebrati che vivono sia sulla terraferma che in acqua (dolce o salata). Il nome deriva da una parola latina: “mollis” che significa molle.
Questi animali, infatti, sono privi di colonna vertebrale e hanno un corpo molle. Alcuni di loro hanno una conchiglia protettiva come nel caso dei gasteropodi (lumache) e i bivalvi (cozze e vongole).
I molluschi sono suddivisi in tre grandi gruppi:
I cefalopodi: animali dotati di tentacoli con numerose ventose e una grande testa. Molti di questi animali hanno sviluppato una protezione interna (osso di seppia) che sostituisce la conchiglia esterna degli altri molluschi. Tra i cefalopodi ci sono i polpi, le seppie e i calamari.
I gasteropodi sono chiamati così perché sono animali che si muovono strisciando sulla loro pancia. La loro conchiglia esterna ha diverse forme e colori. Alcune sono semplici, a forma di cono, come quella delle patelle oppure a spirale come quella delle lumache di terra e di acqua.
Una delle cose più incredibili dei gasteropodi è che quelli terrestri respirano aria e quindi hanno un polmone, mentre quelli marini, dovendo respirare in acqua, hanno sviluppato una branchia.
I bivalvi, infine, hanno una conchiglia divisa in due parti, chiamate valve.
Queste valve, si muovono (aprendosi o chiudendosi a seconda delle necessità) grazie ai potentissimi muscoli dei molluschi che vivono al suo interno.
Tra i bivalvi più comuni ci sono le cozze, le ostriche e le vongole.  


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